01/03/12

OLTREMONDO II





03.07.1998
Non dimenticherò l’estate del ’98 e le sue alte temperature.
Così quella di mio padre da tre giorni:
41 gradi su un corpo fiaccato da una malattia che lo costringevano a letto da ormai otto mesi.
Di pari passo le temperature estive: 40°, 41°, 42°, 43° ;
quando ebbe un breve stato di coma che lo portò alla morte silenziosamente, come silenziosa fu la sua vita.

Mi avvicinai al corpo, abbandanato per un attimo dai familiari,
e mi trovai solo con lui, forse per la prima volta.

Riverso sul letto in modo scomposto, 
come se stesse per fare un riposo pomeridiano, 
con una smorfia sul labbro inferiore che ne segnava il suo viso in modo innaturale, comunque tranquillo.

Gli toccai la fronte come avevo fatto in quei 2–3 giorni e la sua era meravigliosamente calda come calda era la stanza come afoso era quel pomeriggio. 
La sera poi la Francia ci eliminò ai rigori nei quarti di finale dei campionati mondiali di calcio.

07/02/12

OLTREMONDO I

Ri-levare/Ri-velare
Si tratta di perdita
Le morti delle madri
Le morti dei padri
Materia/Pensiero
Il corpo scompare sotto un cumulo di segni 













 
1994

Il corpo consumato e provato da 12 ore di rigurgiti
di sangue era abbandonato sul letto.
Un corpo esile, avvolto da una sottile tunica celeste, che aderendo al corpicino sembrava un lenzulo rattrappito, stropicciato, come te lo trovi di mattino al risveglio dopo una notte passata insonne.
Il corpo senza vita ma ancora meravigliosamente caldo; tuttavia rivoli di sangue le uscivano da entrambi i lati della bocca.
Gli appoggiai un tovagliolino di cotone, parte del suo corredo, per arginarne l’emorragia, piegandomi su di lei e sussurandogli un pianto profondo. 
Le sue palpebre: una sottile pellicola di pelle che lasciava intravedere solo il bianco dei suoi occhi.
Il ventilatore a due velocità cercava il calendario di padre Pio.


12/01/12

Carcàra

 



I suoi occhi non lacrimavano,
solo un velo umido.
Bianca era disperata perché Claudio,
figlio tredicenne di sua sorella Regina,
non era tornato a casa quella sera.
Regina penava in un ospedale di Roma,
per una rara malattia,
che da lì a poco l’avrebbe portata alla morte.
La mattina presto accompagnarono Bianca fuori paese,
in aperta campagna.
Vicino ad una vecchia costruzione in pietra a secco,
fumante e piena di carbone,
stazionavano tre individui adulti
intenti alla fatica più miserabile.
Chino per terra Claudio
ammassava vecchi copertoni di camion
che servivano per la fornace.
Il pianto della donna era lo strazio di tanta miseria.
Al grido Claudio, Claudio!,
il ragazzo corse deciso verso la donna,
esitando solo alla fine
per paura e per vergogna.
Tornarono a casa in silenzio e a piedi
il lunedì di festa della Madonna della Campana del 1959.

13/12/11

il mare















Ad un bambino una giovane donna
Promette che sarà portato al mare
Che non non ha mai visto
E’ una bella e calda mattina di maggio
Una motocicletta corre lenta
Guida un giovane uomo
Porta con se
La donna e il bambino
La moto si ferma in aperta campagna
L’uomo e la donna si abbracciano
Il bambino chiede del mare
La donna glielo indica
Il piccolo corre
Davanti 
Una immensa distesa
Di erba verde
C’è vento
Si tuffa
Scompare

22/11/11

il pallone















Avevano finalmente un pallone vero, 
una vecchia palla di cuoio consumata.

Pure erano riusciti a forzare la serratura del Comunale 
con un arnese in ferro e si erano sistemati in mezzo al campo 
come due squadre vere, 
con tanto di arbitro con fischietto, 
più due segnalinee.

Sul polveroso terreno di gioco del vecchio comunale 
le due squadre si impegnavano al massimo per inseguire la palla, 
ma in modo disordinato e senza un modulo di gioco, 
incuranti dell’afa di quel torrido pomeriggio estivo di fine giugno.

Il fatto avvenne al 20° del secondo tempo 
quando l’agonismo dei giovani giocatori era al massimo 
per cercare di prevalere sull’avversario.

Inaspettatamente 
un piccolo mulinello d’aria e di polvere 
si mise a roteare silenzioso intorno ai giocatori, 
incuranti e sopraffatti dall’agonismo, 
fino a divenire minaccioso e trasformarsi 
in una vera tromba d’aria.

Il gran polverone spaventò i giovani giocatori 
che veloci come topolini trovarono rifugio 
sotto le vecchie gradinate di cemento.

Il folletto d’aria 
con la sua gran nube calda di terra e sansa 
si diresse verso la palla, 
finita intanto in prossimità dell’area di rigore. 
La sfera roteò su se stessa 
prendendo la direzione della porta, 
ma non andò in gol 
perché di colpo si levò per aria fermandosi a mezz’aria, 
sostenuta dal vortice; 
poi salì su, prima dieci metri, poi venti, 
cinquanta, cento metri, 
spinta dalla forza del turbine, 
fino a svanire nella luce dell’azzurro cielo estivo.